Estratti dai libri “PAURA, PANICO, FOBIE” E “OSSESSIONI COMPULSIONI MANIE” di Giorgio Nardone.
…”per chiarire bene la differenza tra la psicoterapia breve strategica e tutte le altre forme di psicoterapia è importante evidenziare come questa, sulla base della teoria dei sistemi (Von Bertalanffy, 1952), la logica strategica (Elster, 1979; Nardone, Salvini, 1997) e il costruttivismo radicale, ritenga ogni tipo di patologia non una malattia biologica da guarire, bensì un equilibrio disfunzionale da trasformare in funzionale. Questa disfunzionalità è sorretta da una dinamica che si autoalimenta, non sulla base di determinate caratteristiche biologiche, né sospinta da oscure pulsioni annidate nell’inconscio (psicoanalisi), e nemmeno come semplice frutto di apprendimenti sbagliati (cognitivismo-comportamentismo), bensì quale effetto dell’esasperazione e dell’irrigidimento di strategie adattive che si trasformano in disadattive, ovvero “tentate soluzioni” dimostratesi efficaci rispetto a determinate situazioni problematiche, che si convertono in ciò che complica il problema anziché risolverlo. Ma proprio perché
all’inizio funzionano, queste soluzioni costituiscono il fondamento della loro reiterata applicazione, sino all’effettiva costruzione della patologia…
….pertanto l’intervento terapeutico sarà rappresentato da manovre in grado di interrompere tali controproducenti circoli viziosi. Affinchè queste manovre siano efficaci dovranno essere mirate a sovvertire la logica interna al problema riorientandola verso la soluzione (esempio: il panicante da una prima tentata soluzione di evitamento (funzionale) rispetto ad una paura, adotterà questa soluzione in contesti sempre più numerosi e diversi (disfunzionale).
La soluzione del problema sarà rappresentata, pertanto, da strategie e stratagemmi in grado di far cambiare al soggetto le proprie tentate soluzioni disfunzionali, e grazie a ciò, indurlo a sperimentare concretamente il cambiamento terapeutico, ossia fare in modo che il paziente modifichi effettivamente la percezione delle cose che lo costringevano a reazioni patologiche. La differenza sostanziale con gli approcci cognitivo-comportamentali consiste nel fatto che questi derivano dalla teroia dell’apprendimento mentre quelli strategici dalla teoria del cambiamento. Tradotto nella pratica clinica un terapeuta cognitivo-comportamentale guida il paziente attraverso un processo basato sulla consapevolezza e sullo sforzo volontario a imparare come combattere o gestire un disturbo; il terapeuta strategico utilizza dapprima stratagemmi terapeutici che creino vere e proprie esperienze emozionali correttive nelle percezioni e nelle azioni del paziente, per poi acquisirne la capacità gestionale…ciò significa che il cambiamento avviene in tempi rapidi con sblocchi significativi della sintomatologia poiché le tecniche terapeutiche inducono la persona a cambiare prima la percezione e la reazione nei confronti della sua realtà per poi acquisirne la capacità gestionale…Sul piano della metodologia della ricerca ciò significa che nel caso della terapia cognitivo-comportamentale si lavora per progressive acquisizioni di conoscenza, nella terapia breve strategica per effetti-scoperta e successive acquisizioni.
…l’essere consapevoli o coscienti di qualcosa (il panicante è cosciente di temere stimoli oggettivamente non paurosi e l’ossessivo compulsivo si rende perfettamente conto dell’irrazionalità dei propri rituali ma è comunque obbligato ad eseguirli) non significa essere capaci di fare o non fare quella cosa. L’idea che nel processo di cambiamento si passi dal pensiero all’azione appare ormai superata sulla base delle esperienze concrete di intervento. Il cambiamento effettivo prevede non solo il cambiamento delle cognizioni ma soprattutto quello delle percezioni le quali innescano emozioni che a loro volta influenzano le cognizioni e i comportamenti. Tale cambiamento di prospettiva, per essere effettivo deve passare attraverso concrete esperienze.
Il fine della terapia strategica consise appunto nell’operare cambiamenti nelle modalità con le quali le persone hanno costruito realtà private disfunzionali. La premessa è che la mente umana non è passiva e determinata ma attiva nella maggior parte dei suoi processi e costruttiva, ossia produce la realtà che poi subisce…
DISTURBI FOBICI
…in questa prospettiva la conoscenza relativa alle cause del disturbo non è necessaria né utile alla soluzione del disturbo stesso. Se questo avvenisse cadremmo in una serie di trappole che darebbero come prodotto il “costruire” le presunte cause sulla base delle teorie di riferimento adottate. Infatti il resoconto del paziente è già una prima “traduzione” di realtà mediata dalle sue attuali idee, convinzioni ed emozioni rispetto al suo passato, e per questo il resoconto sarebbe poco attendibile. Inoltre a questo si deve aggiungere la seconda “traduzione” cioè quella eseguita dal terapeuta che alla luce delle proprie teorie di riferimento interpreta e spiega le cause del presente problema psicologico. Come appare chiaro tali passaggi interpretativi e comunicativi distorgono la “originaria realtà” costruendone un interpretazione che è poi una “nuova realtà”, prodotto dell’interazione tra paziente/i e terapeua. Infine, anche se riuscissimo a isolare completamente i fatti dalle interpretazioni e dalle teorie nella ricerca del perchè un problema è venuto a costituirsi, inciamperemmo, nel formulare una teoria causale esplicativa…
Serve invece studiare come “il sistema percettivo-reattivo” (problema) si alimenta in modo da mettere a punto ed applicare le strategie in grado di cambiare il funzionamento di tale sistema di percezione e reazione nei confronti della realtà, in modo da condurre il soggetto a risolvere rapidamente ed effettivamente il suo problema.
….sembra che ciò che determina la costituzione della forte sintomatologia fobica, non sia l’evento iniziale, ma tutto ciò che il soggetto mette in atto per evitare la paura. Ciò sta a significare che le “tentate soluzioni” operate dalla persona per sfuggire alla paura dello scatenamento delle proprie reazioni emotive e somatiche di paura, conducono all’aggravarsi della sintomatologia stessa, finendo per costituirla ad un livello superiore di gravità, quello della completa generalizzazione delle percezioni e reazioni fobiche nei confronti della realtà.
Per chiarire meglio il costrutto relativo al fatto che la persistenza di un problema si regga sulle tentate soluzioni operate per risolvere il problema stesso, si può ricorrere ad un’esemplificazione concreta. La persona che ha paura di sentirsi male, di allontanarsi da casa, mette in atto usualmente due basilari “tentate soluzioni”. La prima è quella di evitare di allontanarsi da sola e di evitare tutte le situazioni che possano far correre il rischio di dover rimanere da sola fuori casa…..tale comportamento conduce gradualmente ad evitare quasi tutto. Ma questa forma di evitamento generalizzato conduce anche il soggetto ad abbassare la soglia di attivazione della paura. In modo tale che, nello sforzo di controllare le situazioni di paura evitandole, queste finiscono per aumentare vertiginosamente sino a che anche il minimo allontanamento o momento di solitudine scatena il panico. La seconda usuale tentata soluzione è quella relativa alla richiesta di aiuto. Essi chiedono costantemente massiccio supporto alle persone intorno….ma anche questa laboriosa e protettiva soluzione confermando ridondantemente, a livello di comunicazione interpersonale, lo stato di presunta “malattia” del soggetto, gradualmente contribuisce a mantenere ed aggravare la sintomatologia.
…qiundi una volta che si sia innescato tale processo, spesso casualmente, come nella maggior parte della nostra casistica, e si sia stabilita una dinamica circolare di retroazione tra soggetto e realtà sulla base di una percezione della paura, questa tende a mantenersi costante. Tale dinamica retroattiva si mantiene costante proprio attraverso gli sforzi in direzione del cambiamento operati dal soggetto stesso.
Da questa prospettiva, dunque, i disordini fobici gravi non appaiono come il prodotto di una precisa e determinata causa, ma come il frutto di un complesso processo di retroazioni tra soggetto e realtà, innescato da un evento che spesso non possiede alcuna inerenza con la tipologia di disturbo in seguito sviluppatasi. Quello che appare, quindi, come aspetto più importante dal punto di vista clinico dell’intervento è che ciò che determina la formazione e soprattutto la persistenza delle gravi sintomatologie fobico-ossessive, non sono le cause originarie ma le tentate soluzioni messe in atto dalle persone come autodifesa nei confronti della paura. Queste disfunzionali tentate soluzioni costutuiscono gradualmente e mantengono la rigidità del sistema percettivo-reattivo del soggetto. Tale tipo di sistema autopoietico una volta costituitosi non necessita più di reali stimoli esterni per avere determinate ricorsive reazioni, in quanto “costruisce” al proprio interno un sistema percettevo reattivo fobico. Un soggetto che abbia costituito tale sistema autopoietico, non ha strettamente bisogno di concrete situazioni di paura per avere reazioni fobiche, poiché egli stesso, mediante i suoi processi mentali, “costruisce” tali realtà che però egli percepisce come provenienti da una realtà concreta esterna.
…questo tipo di persistenza, per essere rotta, richiede interventi in grado di cambiare non soltanto le reazioni comportamentali di un soggetto ma la sua organizzazione cognitiva e soprattutto le sue percezioni nei confronti della realtà.
Attraverso gli studi condotti su migliai di casi negli ultimi trent’anni sono stati individuati dei protocolli di trattamento sulla base delle ricorsività presenti a livello di tentate soluzioni…
DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO
…ciò che il manuale DSM-IV definisce “disturbo ossessivo compulsivo” può essere descritto come il bisogno irrefrenabile di avere il controllo della realtà, che si esprime in una serie di azioni o pensieri rituali; la loro ripetizione ridondante svolge il ruolo di rassicurare la persona sul controllo di ciò che può accadere o degli effetti di ciò che è accaduto. Diviene assurdo, dalla prospettiva di un osservatore non esperto, il fatto che ciò che emerge da un bisogno razionale di controllo, diventi poi totalmente irrazionale. Ad esempio è sano stare attenti a non sporcarsi o lavarsi dopo essersi sporcati ma, è insano lavarsi per ore nel dubbio di aver toccato qualcosa di sporco e, dopo essersi lavati a lungo, dubitare ancora di non essersi lavati abbastanza ed essere quindi costretti a lavarsi di nuovo. Oppure è decisamente sano prima di andare a letto controllare che le porte, i rubinetti e il gas siano chiusi, ma è decisamente assurdo svegliarsi più volte di notte e ricontrollare ogni cosa. Può essere sano farsi una fantasia positiva rispetto a una prova da superare, ma diventa insano strutturare un rituale di pensiero propiziatorio che non si riesce a evitare prima di effettuare una prova. Come si può osservare, la logica del disturbo ossessivo-compulsivo è basata sul fatto che ciò che è corretto e sano diviene, attraverso una ripetizione esasperata, una vera e propria tirannia dell’assurdo, che si basa fondamentalmente sul bisogno di essere rassicurati rispetto alla propria realtà. “mi sono lavato tamente bene che non posso essere infettato dall’HIV”, “ ho controllato talmente bene che non potrà accadermi nulla di pericoloso”. Dal logico, per eccesso si giunge all’illogico. Il filosofo Lichtenberg scriveva: ” La mente dell’uomo è talmente duttile e corruttibile che possiamo impazzire per mezzo della ragione”. Anche la moderna neuropsicologia (Goldberg, 2005, 2010) lo conferma rivelandoci come il cervello si plasmi adattandosi alle esperienze ripetute: paradossalmente è proprio in virtù della flessibilità e adattabilità mentale che, ripetendo un’azione o un pensiero un certo numero di volte, non solo li rendiamo ragionevoli, ma li facciamo diventare una compulsione irrefrenabile. Anche in questo tipo di patologia, come nella maggioranza dei disturbi psicologici, ciò che fa la differenza è il livello quantitativo. Al di sotto di questa soglia, dove la funzionalità non si trasforma in disfunzionalità, tali modalità di gestire la realtà sono sane e adattive. Essere attenti e meticolosi nello svolgimento di un compito è un pregio che rende rigorosi e affidabili; dover tornare su qualcosa che è stata ricontrollata più volte perché non si è sicuri di averla eseguita corettamente diventa un problema; sviluppare una compulsione irrefrenabile a ricontrollare più volte ciò che è già stato controllato diventa una patologia.
…di fronte ad una paura non dominata o evitata dal soggetto questi comincia ad eseguire rituali che gli appaiono in grado di combattere tale indomabile paura. L’esecuzione del rituale, protettivo o propiziatorio, dà al soggetto la momentanea illusione del controllo della paura ma, proprio per questo suo effetto, lo conduce ad essere costretto a ripetere ossessivamente il rituale sempre più spesso. Appare in questa patologia ancor più evidente che la tentata soluzione del problema diviene il problema.
….anche l’intervento sul disturbo ossessivo-compulsivo si focalizza su quelle che la ricerca ha evidenziato come usuali tentate soluzioni che alimentano il problema: strategia dell’evitamento, richiesta di rassicurazione, aiuto e protezione, esecuzione di rituali preventivi, riparatori o propiziatori. L’intervento deve essere calzato sulla specifica percezione e credenza fobica; pertanto da una parte la strategia terapeutica deve calzare alla classe del problema e alla sua regolarità, dall’altra deve essere adattata anche creativamente alle espressioni originali del disturbo e del soggetto. Le modalità terapeutiche possono essere distinte in due grandi classi: ciò che avviene durante il dialogo terapeutico e ciò che si prescrive al paziente al di fuori del setting clinico. In termini tecnici
– le ristrutturazioni della percezione della realtà operate durante il colloquio clinico attraverso l’uso di specifiche tecniche di comunicazione terapeutica, che hanno lo scopo di cortocircuitare i modelli ridondanti disfunzionali che imprigionano la mente del paziente
– le prescrizioni terapeutiche, ovvero le ingiunzioni da metere in atto tra una seduta e l’altra , nella vita reale, in cui l’obiettivo è far cambiare al paziente le azioni che alimentano il disturbo e fargli scoprire come uscirne.
Ciò significa che nel dialogo terapeutico si deve aprire una breccia nelle visioni e credenze rigide del soggetto, quindi condurlo a sperimentare concretamente, attraverso esperienze guidate, il cambiamento terapeutico nella sua vita reale. Se si considera la forte resistenza al cambiamento tipica del disturbo ossessivo compulsivoe la rigidità ei meccanismi mentali e comportamentali che lo contraddistinguono, è necessario utilizzare forme di comunicazione terapeutica suggestive e persuasorie e modelli logici in grado di sovvertire l’apparente illogicità delle ossessioni e compulsioni.
Dott. Fratagnoli psicologo psicoterapeuta ad Arezzo e Asciano (SI)
Bibliografia:
Nardone, G. (1993), Paura, panico, fobie, Milano: Ponte alle Grazie
Nardone, G.,Portelli, C. (2013), Ossessioni, compulsioni, manie. Capirle e sconfiggerle in tempi brevi, Milano: Ponte alle Grazie.
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