-il dolore/i dolori non sono in un punto specifico ma in una zona

il problema centrale è rappresentato dal dolore o dai dolori

-no condotte di evitamento

-attenzione focalizzata e costante sulle sensazioni, ipervigilanza sulle sensazioni nocicettive

-di frequente i dolori “migrano” in zone diverse del corpo

-ideazioni catastrofiche circa scenari di malattia

-il dolore/i dolori non sono percepiti in momenti in cui ci si distrae 

Cos’è un disturbo psicosomatico?

Parlare di disturbi somatoformi è affrontare un argomento antico quanto l’uomo, in realtà qualsiasi disturbo psicologico se protratto nel tempo può dare origine in svariate forme a sintomi somatici come del resto molti disturbi biologici possono concorrere a stati ansiosi o depressivi.

Un esempio è l’ansia, uno stato noto a tutti, che inevitabilmente è legato a una serie di “sensazioni” prettamente fisiche come una stretta alla pancia, il “magone”, il cuore in gola ecc…

I disturbi psicosomatici (o somatoformi) sono caratterizzati dalla presenza di sintomi fisici che suggeriscono l’esistenza di un disturbo organico (da qui somatoforme), i cui sintomi però in realtà non sono giustificati né da una condizione medica generale, né dagli effetti diretti di una sostanza né da un altro disturbo mentale: in pratica non esistono reperti organici che li possano dimostrare o meccanismi fisiologici noti che li possano spiegare, e per i quali esiste l’ipotesi, che siano legati a meccanismi e conflitti psicologici.

La psicosomatica è una scienza che si trova a metà strada appunto tra il biologico e lo psicologico, tra la medicina e la psicologia.

“Una definizione omnibus di disturbo psicosomatico di per sé sarebbe pochissimo utile perché troppo generica ed eccessivamente sovra-inclusiva, per cui diventa importante comprendere quale tipo di diagnosi e a quale livello sia possibile” (Zacchetti, Castelnuovo 2014).

Nella realtà clinica i pazienti che ricevono una diagnosi di disturbo psicosomatico arrivano a questo punto dopo che la medicina non è riuscita ad individuare con i propri mezzi una causa biologica per il problema presentato. Si tratta, per la maggior parte dei casi, di una diagnosi per esclusione fatta da specialisti ai quali i pazienti sono stati inviati da medici di base.

Da cosa è caratterizzato un disturbo somatico e cosa lo differenzia da altri disturbi quali patofobia e ipocondria?

Si parla spesso di “sindrome funzionale somatica” riferendosi a un complesso di diverse sindromi i cui quadri clinici sono in parte sovrapponibili, e che sono caratterizzate prevalentemente da sintomi soggettivi, sofferenza e disabilità e meno da anormalità oggettive di struttura o funzione specifiche per la patologia. Tra le più note ricordiamo: sindrome del colon irritabile (IBS), fibromialgia (FM), sindrome da fatica cronica (CFS), disordine da stress, e sindrome delle gambe senza riposo (RLS) solo per citarne alcune. I pazienti che presentano queste somatizzazioni, così spesso disabilitanti e stressanti, consultano frequentemente medici i quali, non riuscendo ad evidenziare cause specifiche per sintomi specifici, etichettano il disturbo come ipocondria o “disturbo psicosomatico”.

  • Amplificazione somatosensoriale: una tendenza ad amplificare selettivamente i sintomi fisici a causa di tre aspetti correlati e concomitanti a) un aspetto percettivo per cui il soggetto manifesta un’elevata vigilanza e controllo delle proprie sensazioni fisiche comuni, b) un aspetto cognitivo di attenzione selettiva per cui, nella miriade di sensazioni interne ed esterne che colpiscono una persona, il soggetto è specificamente portato a selezionare quelle oggetto di attenzione; c) un aspetto comportamentale per cui il soggetto reagisce alle inevitabili (perché fisiologiche e perché amplificate dai processi attenzionali di cui sopra) sensazioni somatiche anche deboli e poco frequenti, creando un circolo vizioso automatico (più sono attento, più percepisco le sensazioni che provengono da una o più zone critiche del corpo; e più le percepisco, più sono attento a quando e a come si ripresentano) che le rende sempre più disturbanti. L’amplificaizione somatosensoriale può essere un tratto stabile del funzionamento del soggetto o anche uno stato temporaneo…(Porcelli, 2014, pagg. 31,32).”
  • Ansia eccessiva per la salute: questa condizione, strettamente collegata con la precedente può considerarsi adattiva e funzionale ad esempio in presenza di precedenti episodi di rilevanza medica ma allo stesso tempo condurre ad un’amplificazione somatosensoriale. Quando pesrsiste per lunghi periodi genera un’ abitudine disfunzionale verso la “catastrofizzzione” e ad una presenza continua di convinzioni errate sulle proprie sensazioni. Si è così portati ad esercitare un maggiore controllo.

In particolare un paziente con somatizzazione algica riferisce un aspetto relativo alla nocicezione che rappresenta il punto centrale del problema e non un aspetto accessorio. Sono presenti tratti ansiosi che si manifestano in pensieri fobici ma non si riscontrano condotte di evitamento (come nei disturbi fobici). Non c’è paura nel sottoporsi ad esami medici ma principalmente gli sforzi sono concentrati sull’attribuzione del dolore a qualche causa (come nella classica ipocondria). “L’ipocondriaco somatico è meno spaventato dal concetto di malattia e di morte ma prova un disagio clinicamente ben più significativo nei confronti dei propri sintomi” (Bartoletti, Nardone, 2018). C’è un’attenzione smodata sulle sensazioni corporee. Spesso non c’è una sola sintomatologia ma più di una ed esse migrano ovvero si spostano a seconda di categorie temporali soggettive anche all’interno di una stessa giornata.

Altrettanto spesso la nocicezione non è presente in momenti in cui i soggetti sono particolarmente impegnati in attività a loro gradevoli o che richiedono dispendio e sforzo cognitivo. 

Le classificazioni psichiatriche non sono affatto esaustive.

Nel DSM V (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) si parla di “disturbi da sintomi somatici e correlati” (DSS) che raggruppa in un’unica categoria diagnostica quei disturbi che nella precedente versione erano chiamati disturbo di somatizzazione, disturbo algico e disturbo somatoforme indifferenziato. Questa nuova categorizzazione richiede un criterio di cronicità: sintomi persistenti per almeno 6 mesi anche se non continuativamente e due criteri principali:

A)presenza di sintomi somatici: uno o più sintomi che creano disagio o difficoltà significativa nella vita quotidiana

B) eccessiva preoccupazione: pensieri, emozioni o comportamenti eccessivi in relazione a tali sintomi somatici definiti da almeno uno dei seguenti:

1)-preoccuazioni persistenti e sproporzionate sulla gravità dei propri sintomi,

2)-livelli elevati di ansia per la salute o per i sintomi

3)-tempo ed energie eccessivamente dedicati a tali sintomi o preoccupazioni

Indipendentemente dal fatto della “genericità” di categorie prettamente soggettive, è facile comprendere come, in presenza di un sintomo particolarmente invasivo e in presenza dell’impressione del medico che il paziente se ne preoccupi troppo, si possa facilmente essere etichettati con una diagnosi di disturbo mentale. Come sottolinea Porcelli (Porcelli, 2014) questa categorizzazione del DSM corre il rischio di provocare due conseguenze nefaste. Il medico può cadere in questo ambito poco definito della medicina e minimizzare o svalutare i sintomi del paziente che vengono attribuiti a tratti caratteriali di difficoltà generica ad affrontare le situazioni stressanti che la vita propone. Questo può diventare uno dei fattori principali per la cronicizzazione di questi pazienti che assumono così la posizione di malati incompresi. Allo stesso tempo il medico può offrire, grazie alla tecnologia, una serie di strumenti diagnostici sempre più sofisticati che però non portano a nulla. Da un lato si incorre nella possibilità di essere etichettati e rifiutati dal medico e di incentivare comportamenti “ipocondriaci” alla ricerca di continue visite, farmaci e  rassicurazioni; e dall’altro si rischia di incentivare quella che viene definita come medicina difensiva. Il medico, allo scopo di difendersi dall’aumento esponenziale di denunce legali, incorre nel comportamento frequente di richieste continue di accertamenti con conseguenze negative sul primo aspetto per il paziente e concorrendo ad un aumento significativo della spesa pubblica (fenomeno in progressivo aumento negli ultimi anni). O ancora: un paziente con più sintomi somatici afferenti ad aree di diversa competenza medica può essere preso in carico da più specialisti contemporaneamente ed essere sottoposto a terapia farmacologica oppure essere inviato allo psicologo o allo psichiatra. La definizione diagnostica di malattia non è qundi un dato di fatto ma è conseguenza diretta dell’impianto teorico che ne è a monte, in questo caso una scienza deterministica “causa-effetto”.

Per la psicopatologia, non essendo note le cause e non disponendo di markers diagnostici, il concetto di diagnosi assume quindi significati differenti dalla diagnosi medica. La “somatizzazione è definibile più come un continuum che come una categoria con sintomi specifici.

La classificazione del DSM dei disturbi somatoformi pare non rappresenti la realtà clinica poiché i criteri o sono troppo restrittivi o troppo inclusivi, si rimane ancorati al rigido dualismo mente-corpo, si tende  a sovra-psicologizzare i sintomi somatici se associati a disturbi psicopatologici oppure a sottostimare gli aspetti psico-sociali se siamo in presenza di patologie mediche. Da queste considerazioni ne consegue che un disturbo psicosomatico rappresenta una condizione variabile da individuo a individuo, ci possono essere fattori psicosomatici nel dolore fisico di un paziente oncologico e nessun fattore psicosomatico in un paziente con psoriasi (Porcelli 2014). Come nota ancora Porcelli un corpo umano osservato dall’esterno rappresenta un oggetto misurabile attraverso esami ed indagini, ma visto dall’interno è invece un’insieme complesso formato da percezioni, sensazioni e vissuti radicalmente soggettivi, ciò significa che siamo difronte ad un paradosso metodologico poiché non abbiamo ancora un linguaggio scientifico per indicare la matrice unitaria del corpo ovvero medicina e psicologia parlano linguaggi differenti (Todarello, Porcelli 1992).

Il dolore

Il solo pensiero del dolore stimola in noi sentimento di fastidio, da subito arriva un istinto di rifiuto, difficilmente lo analizziamo come qualcosa di utile (come avviene con i segnali degli altri sensi) o come un utile messagio per il nostro organismo. In realtà è proprio questo stimolo che ci avvisa della presenza di un allarme con funzione protettiva. Il dolore (nocicezione) attiva una serie di risposte adattive volte alla conservazione che coinvolgono il sistema nervoso periferico e centrale. 

Il dolore da sempre è stato oggetto di studio della medicina ma la sua definizione non è univoca ad esempio per la IASP (Associazione internazionale per lo studio del dolore) è “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno”.
Non può essere descritto solo ed esclusivamente come esperienza sensoriale ma analizzato come la risultante di più fattori:

-una componente relativa alla “nocicezione” ovvero alla percezione e al trasporto “biologico” al sistema nervoso centrale di segnali potenzialmente pericolosi per l’organismo

-una componente del tutto soggettiva (unica e irripetibile) relativa all’esperienza personale di uno stato psichico collegato alla sensazione dolorosa.


La definizione comprende quindi aspetti oggettivi relativi a danni materiali e sensazioni su organi di senso ma anche (e sempre più) aspetti prettamente soggettivi legati alla percezione individuale, alla cognizione e conseguente comportamento reattivo.

Il dolore può essere considerato come uno dei segnali più importanti per il nostro organismo perché ci trasmette informazioni sulla nostra integrità fisica, esso è in grado di canalizzare completamente la nostra attenzione tanto è vero che in molti tipi differenti di terapie per malatte accompagnate da dolore cronico, strategie di “distrazione” risultano essere un ottimo strumento terapeutico nel cambiamento della percezione nocicettiva. Risulta chiaro quanto gli aspetti psicologici, affettivi, emotivi influenzino in maniera massiccia la percezione e l’elaborazione cognitiva del dolore. La vecchia dicotomia mente-corpo è sempre più superata e da questo si comprende bene come sia difficile creare delle categorie diagnostiche. Il dolore ha componenti sia fisiche che psichiche. Può addirittura essere possibile che esista la percezione del dolore in assenza di danno fisico tissutale come che ci sia totale assenza di dolore in presenza di lesione fisica. La divisione nelle categorie di dolore esclusivamente fisico corporeo (all in your body) o esclusivamente psichico (all in your mind) è falsa cioè non rispecchia minimamente la realtà clinica e confonde sia i medici sia i pazienti, rendendo inefficaci i tentativi di trattamento. Anche se non in tutti i casi è associabile a una malattia fisica sottostante, il dolore è sempre nella testa di qualcuno ed è sempre reale.

Chi soffre di un disturbo psicosomatico è costretto a conviverci?

No, le somatizzazioni algiche rispondono, in Terapia Breve Strategica, alle prescrizioni specifiche per un sistema percettivo reattivo di tipo ossessivo compulsivo. Nello specifico, un primo evento, dubbio o paura obbliga all’esecuzione sistematica di un controllo corporeo e sulle sensazioni che, ripetuto nel corso del tempo, si struttura come una vera e propria compulsione che si attiva inconsapevolmente. Si instaura così un sistema a retroazione per cui la paura e le sensazioni portano ad ideazioni catastrofiche di malattie, queste obbligano ad un controllo maggiore tramite un ascolto selettivo il quale, distorce e amplifica le sensazioni. Il paziente che struttura questo disturbo non può fare a meno di combattere il sintomo e paradossalmente così lo fa aumentare esponenzialmente. 

La terapia Breve Strategica evoluta pur avendo alcuni aspetti in comune con la terapia Cognitivo Comportamentale si discosta nettamente dagli altri approcci psicoterapeutici. A differenza degli altri impianti teorici la terapia Strategica non solo non è interessata al passato ma soprattutto non “interpreta” i fenomeni. 

La Terapia strategica si avvale di tecniche e strategie che durante gli anni hanno dato prova dela loro efficacia e che mirano a “rompere” un determinato sitema percettivo reattivo portando (nella maggior parte dei casi) in poco tempo alla risoluzione completa  del disturbo.

La TBS si differenzia dagli approcci Psicodinamici e Cognitivo-comportamentali i quali considerano parte fondamentale della terapia la ristrutturazione cognitiva del sintomo che inevitabilmente avviene anche nell’approccio strategico ma solo successivamente e cioè dopo essere passati attraverso l’azione ed aver esperito concretamente un cambiamento. 

Dott Paolo Fratagnoli Psicologo-Psicoterapeuta specialista in Psicoterapia Breve Strategica ad Arezzo e Siena (Asciano)

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Bibliografia:

-Bartoletti A., Nardone G. (2018)-La paura delle malattie. Ponte alle Grazie. Milano.

-Haley J. (1976)-Terapie non comuni. Conversazioni con Milton Erickson.Astrolabio, Roma

-Haley J. (1985)-Cambiare gli individui. Conversazioni con Milton Erickson. Astrolabio. Roma.

-Porcelli, P. (2014)-I disturbi di somatizzazione nel DSM-V: FrancoAngeli (p. 431-452)

–Todarello O., Porcelli P. (1992)-Psicosomatica come paradosso. Bollati Boringhieri Torino

-Zacchetti E., Castelnuovo G. (2014)-Clinica psicologica in psicosomatica. Medicina e psicologia clinica fra corpo e mente. FrancoAngeli. Milano.