Come funziona un attacco di panico?
La paura è un’emozione regolata dal paloencefalo che è la parte più antica del nostro cervello. La percezione di uno stimolo pauroso genera ansia che produce reazioni fisiologiche quali aumento del battito cardiaco, sudorazione, aumento della frequenza respiratoria e dei riflessi elettro galvanici; tutto ciò rappresenta una risposta “sana” e funzionale da parte dell’organismo che si prepara a fronteggiare ciò che viene percepito come minaccia.
Pensiamo se improvvisamente ci trovassimo difronte ad una tigre, lo spavento farebbe in modo che il nostro cervello ci preparasse il più velocemente possibile alla fuga.
La paura è una percezione che scatena reazioni che viaggiano nell’ordine di millesimi di secondo come quando reagiamo di fronte ad un ostacolo o ritroviamo l’equilibrio dopo essere inciampati.

Durante un attacco di panico un soggetto si impaurisce delle proprie reazioni fisiologiche e cerca di ridurle razionalmente cioè attraverso uno sforzo cosciente. Proprio questo sforzo produce un vero e proprio corto circuito psico-fisiologico. Il soggetto, impaurito dai segnali del proprio corpo cerca razionalmente e volontariamente (attività della corteccia cerebrale) di bloccare una risposta emotiva involontaria del paloencefalo (amigdala e ippocampo). Questo controllo altera la naturale espressione e il naturale funzionamento di un processo sano e funzionale. Paradossalmente è proprio lo sforzo razionale dei soggetti di inibire la reazione di paura che la fa aumentare esponenzialmente, ovvero il controllo che fa perdere il controllo. Questo è facilmente dimostrabile poiché se durante un attacco di panico avviene un evento esterno in grado di spostare l’attenzione, esso magicamente scompare. Chi ne soffre dichiara di aver “paura della paura”, si trova costantemente impegnato nel monitorare le proprie reazioni fisiologiche e nel tentativo di risolvere il problema, mette in atto delle tentate soluzioni che invece lo provocano. I soggetti che ne soffrono, attanagliati dalla paura, sono costantemente e inesorabilmente impegnati a mantenere il controllo (cortocircuitando inevitabilmente il processo) e finendo ogni volta per perderlo.
Associando a tutto ciò comportamenti di evitamento delle possibili situazioni fobiche, in poco tempo il risultato è quello di abbassare progressivamente i livelli di attivazione della paura finendo per scatenare le reazioni tanto temute anche difronte ai più piccoli stimoli che soggettivamente vengono percepiti come minaccia.
Il disturbo da attacchi di panico è così diffuso che l’O.m.s. ha dichiarato che colpisce oltre il 20% della popolazione.
Chi soffre di attacchi di panico generalmente mette in atto tre tentate soluzioni disfunzionali che mantengono e peggiorano il problema:
- tentativo di controllare le proprie reazioni fisiologiche
- evitamento delle situazioni fobiche
- richiesta di aiuto
La sua popolarità rende frequente il fatto di incappare in proposte di cura molto differenti tra loro e anche di dubbia validità scientifica. I principali approcci sono incentrati su una causalità di tipo lineare per cui cerco le cause, le elimino e risolvo il disturbo. Purtroppo per i problemi di natura psicologica non funziona esattamente così. La tanto nota teoria psichiatrica dello squilibrio chimico, ad esempio, (secondo la quale alla base di un disturbo psicologico ci sarebbero dei livelli “anomali” di determinate sostanze negli spazi intra-sinaptici) non trova conferma nella realtà, tanto è vero che non esistono farmaci che siano in grado di “curare” una patologia ma solo di alleviarne i sintomi o di inibire certi comportamenti. Si parte sempre dal presupposto errato che i suddetti squilibri siano causa di un determinato disturbo, ma potrebbero esserne anche conseguenza; basta questo per capire che intervenire sulla chimica non risolve certo il disturbo. Ammesso poi, che anche potessimo ritrovare le cause di un determinato problema non potremmo certo eliminarle e comunque, a seconda delle teorie di analisi, non potremmo far altro che “interpretare” attribuendo nessi causali portati dai nostri valori, dalle nostre aspettative e credenze.
Questo ci spiega perchè a seconda dell’approccio teorico utilizzato la stessa classe di problemi (vedi attacchi di panico) viene descritta in modi differenti, a volte come conseguenza di esperienze traumatiche infantili, a volte come conseguenza di una reazione disfunzionale agli stimoli ambientali, a volte come il risultato di dinamiche relazionali e familiari problematiche ecc.
Al livello terapeutico non possiamo certo pretendere di risolvere un problema collegato alla paura attraverso un ragionamento. A chi soffre della paura di volare ad esempio, il fatto di far notare che statisticamente l’aereo sia il mezzo più sicuro al mondo è efficace come l’acqua sull’impermeabile. “La razionalità non riuscirà mai a gestire un’irrazionale paura”…proprio perché appartenenti a due logiche opposte. L’obiettivo dell’intervento dovrà allora focalizzarsi non nel sedare l’ansia ma nel ri-orientare le percezioni fobiche.
Per questo motivo nella risoluzione di tali problemi più che essere interessati alla ricerca del “perché” un problema è presente, dovremmo lavorare sul “come” esso si mantiene.
L’ansia e la paura si combattono sul campo, non con i pensieri
Al contrario di quanto si crede, non è l’ansia a creare il panico ma è l’opposto, è la percezione della paura che porta i livelli di ansia sopra la soglia funzionale e scatena il panico e la perdita totale di controllo. Questo è il motivo principale per cui le terapie farmacologiche (che cercano di sedare l’ansia) non funzionano.
Per lo psicologo strategico sarà invece fondamentale studiare come ciascuna persona “costruisce” la propria soggettiva realtà nell’interazione costante con se stesso, gli altri e il mondo e come percepisca e agisca in funzione di essa. Seguendo questa linea di studio appaiono chiaramente in tutti disturbi fobici delle ripetitività (tentate soluzioni) disfunzionali che i soggetti mettono in atto nel tentativo di sfuggire alla paura. La rottura di questi copioni di interazione con la propria realtà ha come effetto quello di far rientrare i livelli di paura nella sua funzionalità. Questo sta a dimostrare che il percorso verso l’estinzione totale del problema debba necessariamente passare attraverso una trasformazione delle percezioni che scatenano le reazioni fobiche.
Così saremo in grado di intervenire per modificare un’omeostasi disfunzionale e trasformarla nel breve periodo in funzionale, passando da una realtà subìta ad una realtà gestita.
Cit.:“La realtà non è ciò che ci accade ma ciò che facciamo con quello che ci accade” (Aldous Huxley).
Dott. Fratagnoli Psicologo Psicoterapeuta ad Arezzo e Siena
Per approfondire:
Caputo, A.; Milanese, R (2017): “Psicopillole”- per un uso etico e strategico dei farmaci
Nardone G. (1993) Paura panico fobie. Ponte alle Grazie

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