17 milioni di persone (il 90 per cento dei ragazzi) giocano ai videogiochi attraverso console (xbox, playstation ecc.) o sul proprio smart phone, è un mondo in continua crescita e con cui, volendo o no, dobbiamo fare i conti. Come sempre ci dividiamo tra coloro che li demonizzano e coloro che non li considerano un problema, come spesso accade però, non è l’oggetto in sé ad essere buono o cattivo, ma è l’uso che facciamo delle cose a renderle buone o cattive. Molte ricerche adesso sono orientate a scoprire quale sia l’impatto degli strumenti digitali sul cervello, esse tendono a dimostrare che l’ambiente digitale stimola ed aumenta le abilità visivo-spaziali ma può inibire le abilità linguistiche (Collerone, 2013).
Se per assurdo, lasciassimo per pranzo un bimbo solo con un vasetto della nutella….mangerebbe solo quella, assumerebbe troppo zucchero, si agiterebbe, e se volessimo togliergliela manifesterebbe comportamento oppositivo provocatorio. Non pensiamo ora che la Nutella sia tossica e che sia il nocciolo del problema.
Bene, se è ovvio che giocare tutto il giorno ai videogiochi può provocare dipendenza, limitare lo sviluppo linguistico e annientare la socializzazione, è anche vero che le recenti ricerche dimostrano come attraverso i videogiochi possano essere accresciute le capacità di elaborazione delle informazioni, migliorino le abilità visivo-spaziali e migliorino le capacità di “multitasking”.
Di nuovo…come accade spesso……. non è un oggetto in sé ad essere buono o cattivo…ma l’uso che se ne fa. Non è un discorso qualitativo ma quantitativo.
Cosa possiamo fare da genitori?
- Controllare (rispetto dei tempi e contenuti)
- Giocare e navigare insieme (trascorrere del tempo con loro sospendendo i giudizi e diventando esperti di cosa piace loro)
- Favorire giudizio critico e creare opportunità per esperienze nel mondo reale
Anche in questi casi comportamenti repressivi non danno i frutti desiderati nel senso che spesso ciò che viene vietato diventa ancora più attraente e in questo caso aumenta la percezione di incomprensione e l’allontanamento da un’intera generazione percepita come “diversa” e che “tanto non mi capisce”.
Controllare e vigilare
Sino ad una certa età ovvero con i bambini, è necessario che i genitori applichino un serio controllo ai tempi e ai modi con cui i figli giocano o navigano sul web poiché esistono non pochi pericoli. Come si applica questo controllo? Beh, in primis, per quanto riguarda i videogiochi, essi riportano sempre etichette riguardanti l’età di utilizzo in riferimento a contenuti. Se un bambino ha 9 anni è sconsigliato farlo giocare con un videogioco che riporta un’etichetta di divieto per i minori. Sia per i videogiochi che per la navigazione su siti web è consigliabile stabilire dei tempi giornalieri da rispettare che dovrebbero aggirarsi su non più di un paio d’ore.
Accompagnare e mostrare interesse
Dovremmo mostrare un sano interesse ed essere incuriositi dal mondo del gaming e dal web per favorire un’avvicinamento con i figli e creare un clima di condivisione, rispetto e fiducia. Il genitore dovrebbe riuscire a sintonizzarsi con le modalità rappresentazionali dei figli per quanto riguarda il “virtuale”. Questo atteggiamento permette al genitore di conoscere meglio i contenuti da cui i figli sono attratti, carpirne i punti di forza, i segreti e gli eventuali pericoli connessi
Cit: “una volta instauratosi un clima di fiducia digitale e che il genitore abbia imparato a smanettare, l’adolescente sarà in grado di percepire il genitore come possibile figura di riferimento cui poter chiedere aiuto se in difficoltà o se dovesse incappare in qualche pericolo”(Nardone, 2012).
Educare persuadendo
Laddove dovessimo scorgere avvisaglie di problematiche legate all’abuso, l’atteggiamento da tenere dovrebbe essere quello di sospendere i giudizi a favore di una comunicazione che ponga dubbi ed interrogativi, creando le situazioni per sperimentare qualcosa di diverso nel mondo reale. E’ chiaro e indubbio che il mondo virtuale, studiato e creato per il divertimento, offra una grande attrazione poiché regala benessere con pochissimo sforzo. Sta a noi genitori investire tempo per creare situazioni nel mondo reale in cui i giovani possano sperimentare le proprie capacità, divertirsi e crescere, sta a noi genitori portarli a sperimentare anche il “diverso”. Estremizzando: se un bambino non ha mai avuto l’opportunità di dare un calcio ad un pallone e stare all’aperto è chiaro che svilupperà la sua relazione con il divertimento solo ed esclusivamente in modo “virtuale” in una realtà che lo renderà sempre più escluso dal “reale”. Un discorso a parte meriterebbe l’uso del telefono cellulare nei bimbi piccoli: lo smartphone viene spesso usato come intrattenitore o “sedativo” per cui quando non siamo in grado di gestire le emozioni disturbanti arriva in soccorso il catalizzatore dell’attenzione con video e giochi che riportano la calma e il silenzio. Anche qui, ciò che diventa pericoloso fa riferimento alla quantità e non alla qualità. Non c’è nulla di male se in alcuni momenti un genitore stanco o un nonno sfinito delega la “gestione” del bimbo al telefonino, ma non può certo essere usato sempre come il risolutore di ogni conflitto e come calmante per tutte le emozioni disturbanti. Di nuovo è il tempo a fare la differenza ed è ovvio che un uso eccessivo dello smartphone conduca a seri problemi nei bambini dall’isolamento relazionale alla non capacità di gestire le emozioni.
ADOLESCENTI
Particolare attenzione merita invece il discorso sugli adolescenti in cui un intervento da parte dei genitori diventa necessariamente più difficoltoso. Si assiste progressivamente ad un aumento del tempo trascorso sui “social” e ad un intensificarsi di relazioni virtuali soprattutto per ciò che concerne l’avvicinamento all’altro sesso. L’esperienza virtuale offre all’adolescente una serie di vantaggi come il non dover affrontare direttamente la paura di non piacere, l’esibizione del corpo, il coinvolgimento diretto in prima persona e offre anche la possibilità di “presentarsi” attraverso una immagine che riflette ciò che desidererebbe essere.
Se ad una prima analisi il virtuale può apparire come un generatore di dinamiche sociali, c’è il rischio che i giovani perdano, o peggio non sviluppino affatto, progressivamente le competenze relazionali con un aumento di possibilità di incorrere in una serie di psicopatologie come attacchi di panico, fobia sociale e ansia generalizzata. Escludendo e riducendo al minimo i contatti si escludono anche quelle piccole esperienze sul campo che offrono la possibilità di confronto con se stessi, con gli altri e con il mondo che inevitabilmente stimolano al miglioramento tramite l’impegno. Se da un lato quindi il virtuale offre uno schermo tranquillizzante e protettivo nei confronti di ciò che spaventa, è anche vero che proprio per questo indebolisce lo sviluppo delle capacità comunicative rischiando di “creare” sempre più ragazzi incapaci di affrontare e superare le difficoltà sino a sfociare nell’estremizzazione dell'”hikikomori” (una scelta deliberata di vita esclusiva nel virtuale).
E’ ancora grazie all’esperienza concreta e alle difficoltà gestite e superate, che creiamo il nostri senso di identità.
I bambini prima e gli adolescenti poi, dovrebbero essere guidati a sperimentare soprattutto nel reale (senza demonizzare il virtuale) poiché imparino ad utilizzare le nuove tecnologie come un “amplificatore” e non una limitazione o una sostituzione delle esperienze relazionali (Nardone, Balbi, Boggiani, 2020).
Come spesso accade quindi, lo scopo dovrebbe essere quello di raggiungere un equilibrio funzionale tra il reale e il virtuale, senza applicare coercizione e senza demonizzare ciò che ci appare nuovo e diverso e si sa, l’equilibrio è sempre dato da un’oscillazione fra opposti.
Dott. Paolo Fratagnoli, Psicologo Psicoterapeuta specialista in Psicoterapia Breve Strategica ad Arezzo e Asciano (SI).

Riferimenti Bibliografici
Collerone, L. M., Città, G. (2013). Il cervello nell’era digitale e la Branching literacy
Nardone, G., Balbi, E., Boggiani, E. (2020)-Il piacere mancato. I paradossi del sesso nel nuovo millennio e la loro soluzione. Ponte alle Grazie , Milano.
Nardone G., Rocchi E., Giannotti E. (2001), Modelli di famiglia. Conoscere e risolvere i problemi tra genitori e figli, Ponte alle Grazie, Milano.
Nardone, G. (2012), Aiutare i genitori ad aiutare i figli, Ponte alle Grazie, Milano.
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