Non dare al problema il nome giusto può essere il primo passo per allontanarsi dalla soluzione.
Oggi nominare l’attacco di panico è cosa comune, forse troppo comune e questo dovrebbe farci pensare a proposito dell’importanza del linguaggio che utilizziamo. Se è vero che questo disturbo è in aumento, è anche vero che spesso si confonde con altre sintomatologie o addirittura malesseri passeggeri che non richiedono una cura vera e propria.
Altre volte invece viene confuso con altri disturbi come ansia generalizzata o fasi depressive (che magari non rappresentano un disturbo da curare ma una fase da attraversare es. dopo un lutto) e la conseguenza diretta di questo errore porta a terapie sbagliate. Il panico generalmente dura pochi attimi o qualche minuto al massimo, la paura è relativa al sentirsi male, i pensieri si riferiscono al terrore immotivato di morire all’istante o alla sensazione di perdere il controllo. In questi momenti si assiste ad un’impennata dei parametri fisio-biologici. Perciò una prima importante discriminante è data dalla durata. Se l’ansia dura ore o addirittura giorni, non si tratta di panico, ma di altro.
L’emozione principale è appunto la paura, per la quale gli individui riferiscono un’esperienza devastante che lascia con il terrore che possa accadere di nuovo. Se i soggetti riferiscono altre emozioni o sensazioni come rabbia, dolore o manifestano sintomi depressivi, non è panico. In una crisi isterica ad esempio (la cui durata è maggiore) l’espressione sintomatica è appunto data da un’emozione incontenibile come rabbia o dolore che si esplicita in una vera e propria “esplosione”. Durante un attacco di panico non c’è rabbia, non ce ne sarebbe spazio. Non ci sono urla, e non è un’attacco psicotico in cui una persona “perde” il contatto con la realtà. Accade se vogliamo il contrario, la persona va in tilt perché paradossalmente è troppo in “controllo”. Per riassumere quindi:
–dura pochi attimi/minuti
–paura di morire o perdere il controllo
–batticuore, tremori, aumento della sudorazione, vertigini, senso di svenimento
–dopo un primo episodio devastante le persone cercano protezione, iniziano ad evitare, chiedono aiuto, tentano invano di tenere sotto controllo le proprie reazioni fisiologiche presi dal terrore che possa accadere di nuovo.
–Iniziano ad avere paura della paura, intensificano le strategie precedenti
La fase iniziale in cui lo psicoterapeuta discrimina questi diversi tipi di funzionamento del problema è fondamentale. Poichè ogni disturbo si mantiene su una logica precisa, diversa dovrà essere la logica della soluzione che condurrà alla sua soluzione.
Ah….dimenticavo, non è necessario andare alla ricerca nel passato di chi sa quale significato, il panico si vince trovando strategie che lo trasformano in coraggio.
Dott. Paolo Fratagnoli Psicologo Psicoterapeuta ad Arezzo e Asciano (SI)

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